Il mio nome è Hevi, che in lingua kurda significa speranza. Ma sui documenti ho un nome turco, perché in Turchia è proibito dare ai figli un nome kurdo.
Sono una rifugiata politica, fuggita dalla repressione turca, e vivo in Italia da 14 anni.
Sono una donna kurda, perseguitata per aver voluto esprimere la mia identità, per aver voluto far parte di un gruppo di musicisti kurdi, di cui ero la cantante. Come tante altre, che ancora oggi continuano ad essere perseguitate e subiscono la repressione.
Il popolo kurdo sta vivendo una persecuzione unica nel suo genere, di cui nessuno parla, soprattutto in Europa, e nemmeno in Italia.
Il 2008 ha visto un grave aumento dei dati sulla repressione nei confronti di cittadini e della società civile kurda in Turchia, come emerge anche nei rapporti di Amnesty International e dell’Associazione per i diritti umani.
La Turchia considera i kurdi dei terroristi, per la loro volontà di esistere. Ed esige dagli alleati europei, che lo siano anche per loro. Accettarlo significa violare ogni convenzione internazionale e dichiarazione universale per i diritti umani, che l’Italia e gli altri paesi europei hanno firmato.
L’Unione europea ed i paesi ad essa appartenenti, si stanno allineando alla prassi turca di annientamento e negazione di un popolo. Quel popolo kurdo, che in Europa si attesta attorno al milione di persone, fra rifugiati politici e migranti.
Pur essendo una comunità di recente venuta in Italia, nelle aree in cui vivono i kurdi e le kurde sono molto bene integrati, e vi lavorano e studiano. Non va dimenticato però che sono fra le migliaia di vittime della guerra che i militari e lo stato turco perpetrano contro il popolo kurdo: uomini, donne e bambini. I rifugiati politici come me, infatti, non sono migranti che lasciano con un progetto di vita nuovo il proprio paese. Essi sono in fuga, alla ricerca di un posto dove poter vivere e sentirsi al sicuro. Nonostante le difficoltà di trovare un lavoro, come rifugiati politici e migranti kurdi, siamo riusciti a sentirci come a casa qui in Italia, accolti dagli italiani che ci hanno fatto sentire la loro vicinanza. Ma ci risulta difficile comprendere che la polizia attacchi noi kurdi anche nelle case.
In Italia vivono kurdi che sono in maggioranza rifugiati politici, fuggiti da un paese in cui rischiano la vita. Secondo l’Associazione dei diritti umani sono almeno 18 le esecuzioni extra-giudiziarie avvenute nel 2009 in Turchia. Sono più di duemila i giovani sotto i 18 anni arrestati per aver partecipato a manifestazioni di piazza per i diritti del popolo kurdo. Sono centinaia i rappresentanti democraticamente eletti in Parlamento e nelle amministrazioni locali che nell’ultimo anno sono stati imprigionati. Uomini e donne che si battono per l’affermazione dei diritti e un’autonomia territoriale come quella che in Italia viene riconosciuta all’Alto Adige e alle altre regioni a Statuto speciale.
Anche in Europa, come si è visto dalla grave operazione lanciata la settimana scorsa in Italia e attualmente ancora in corso anche in Francia e in Belgio, le azioni del movimento kurdo vengono considerate azioni di terrorismo. Si tratta di manifestazioni pubbliche di carattere culturale e politico, trasmissioni televisive, festival e concerti, oppure anche di incontri residenziali svolti alla luce del sole in luoghi pubblici, come quelli tenutisi in Italia.
I kurdi in Europa svolgono attività d’informazione e di sensibilizzazione senza aver mai commesso alcuna azione terroristica.
In Europa ci si avvia verso un conformismo alle pratiche turche in nome di interessi che vanno al di là di ogni civiltà e che attraverso queste forme di persecuzione usando il nome del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, che in Europa non esiste, portano alla criminalizzazione del popolo kurdo di Turchia e di chi si espone a difesa dei propri diritti.
Faccio personalmente appello alle organizzazioni delle donne italiane, ai democratici e alla società civile italiana affinché si rompa il silenzio attorno ai fatti di repressione nei confronti dei kurdi, che non vengono solo perseguitati in patria, ma anche in Italia.
Vi ringrazio per l’attenzione.
HEVI